lunedì 13 luglio 2009

In questi giorni mi è capitato di risentire più volte (non al mio indirizzo) il termine "invornito".
Oh quanto mi piace, quanto mi fa ridere.
Invornito è un altro di quei termini che parlano da soli: vuol dire imbranato, ma ha una sfumatura di tenera severità.
E' un termine che, nel dare un giudizio negativo sulla persona (che non sa cavarsela, che sta sempre lì a intralciare: sinonimo di invornito, ma con diversa sfumatura è "trappola") esprime contemporaneamente quasi un senso di affettuosa compassione. Compassione mai neutra, ma sempre venata dalla speranza che il tizio in questione prima o poi si "scanti".
Scantarsi indica proprio il muoversi, darsi da fare, concludere qualcosa. E' il contrario dello stare lì incantati.
Appunto l'invornito è uno che sta lì, come incantato con la testa tra le nuvole e non serve a nulla, anzi, crea a tutti fastidi...finché non si sveglierà dall'incantesimo!
Stessa cosa è la trappola (dialetto trapla): è una trappola. Sembra una persona normale, sembra un bel bambino, sembra una moglie-barra-marito meravigliosa-barra-o e invece...un disastro!

mercoledì 10 giugno 2009

La sfracaseda

Ieri sono andata a trovare la mamma e la nonna (non mamma e nonna come dice il mio amico di Caltagirone).
La conversazione faticava a decollare per due motivi:
1) i lavori all'area della ex Silan, che creavano un frastuono per cui non ci si sentiva da qui a lì
2) la difficoltà di reperire argomenti visto che con mia madre ho capito che non si può entrare in argomenti troppo personali, non li capisce. La nonna invece, è molto ricettiva (come già vi ho detto la Minerva è una forza della natura ed è anche molto intelligente), ma non è lei, mia madre e quindi...largo ai giovani!

Poi abbiamo trovato l'argomento comune: il cibo.
La Minerva mi ha raccontato di un bidone di cosce di tacchino che, avventurosamente, ha portato in salvo. Lei che non vede quasi niente e che non riesce quasi a camminare, ha costretto Franco, mio cugino handicappato, a portare il tacchino giù per 4 piani di scale e poi in cantina, perché se non fosse stato messo in congelatore sarebbe andato a male. La Minerva ha inseguito Franco fino in cantina e, quando lo ha incontrato mentre risaliva le scale (lei era ancora a metà della discesa), gli ha intimato di scendere di nuovo con lei perchè voleva controllare che avesse davvero messo le cosce in congelatore.
E lui ha dovuto obbedire. Non viene in mente ancora la suorina di Amarcord?
Dopo aver lei raccontato ed io ascoltato questa avventura, abbiamo passato in rassegna i vari metodi con cui si potranno cucinare quelle cosce una volta scongelate, e lei ha proposto la sfracaseda.
A buon intenditor...

martedì 11 novembre 2008

I guciaro

Oggi è san Martino.
E allora non si può non parlare di castagne.
I guciaro sono castagne bollite che si vendono alla fiera di san Geminiano a Modena.
La Minerva mi racconta sempre che per san Geminiano (in carpigiano si dice "per" , e non "a": "per" san Geniniano, "per" Natale ecc...) una sua amica che lavorava a Modena alla Manifattura Tabacchi portava a casa i guciaro e li offriva.
Così io tutti gli anni faccio lo stesso e porto alla nonna i guciaro che le fanno venire tanta acidità di stomaco, ma le piacciono tanto.
A proposito di castagne, mia madre ricorda con nostalgia il castagnaccio che acquistava andando a scuola. Sapore che, ovviamente, non trova nei castagnacci moderni.

Invece a san Martino predominano i marroni arrosto.
Oggi mi sono presa un sacchettino di marroni caldi e sono andata ai giardinetti.
Mi sono seduta su una panchina accanto ad un'altra che ospitava altri tre vecchietti e nel silenzio più meraviglioso possibile, con l'odore umido delle foglie morte, davanti e intorno a me una cortina di leggera nebbia, i colori sfumati del cielo, della terra e degli alberi, ho aperto il sacchetto.
Ho sgusciato i marroni tiepidi fuori e fumanti all'interno e li ho schiacciati sotto i denti assaporando il bosco.
E mi sono sentita così a posto... al posto giusto.

lunedì 3 novembre 2008

Sciaf a l'orba

Ieri, giorno dei morti ho sollevato una tenda che di solito si tiene chiusa.
Ho visto un piccolo campo in un cimitero.
Un campo pieno di sole.
Un piccolo campo d'erba diviso in due.
Da una parte tante minuscole tombe con giocattoli, girandole colorate, bambole, pupazzi.
Su tutto un senso di attesa dolorosa: questo bel praticello con tanti giochi attende bambini che possano giocarci. Ma questi bambini sono già venuti e sono andati via. Tutto in un giorno, o in pochi giorni, o in pochi anni.E così è ricominciata l'attesa, ma dolorosa.
Un sentierino divide questo lato del campo dall'altro: una serie di paletti numerati, solo due o tre lapidi col nome, per il resto solo numeri.
Sono i bambini morti prima della nascita, i bambini abortiti.Non è per niente bello. Da noi si dice sciaf a l'orba (l'immagine è questa: vieni messo in una stanza buia e preso a schiaffi, non sai nè da chi nè da dove vengono).
E' qualcosa di cui non si vorrebbe sapere niente. Ma c'è.

sabato 1 novembre 2008

Al blisgoun

Una parola che è un capolavoro è: "blisgher".
Blisgher, blisgheda, blisga.
Scivolare, scivolata, scivola.
Cosa c'è di più onomatopeico (in questo caso, però, rende bene anche l'italiano)? Blisgher è una parola cremosa e sibilante che esprime la consistenza tattile di ciò che, calpestato (neve, fango, cacca...) fa scivolare, ed anche l'accelerazione improvvisa che subisce il corpo che sta scivolando.
Ad esprimere l'inclinazione verso il basso, la discesa, ci ha pensato mia cugina Chicca che, rivolgendosi al fratello Mauro che tra pochi mesi compirà 53 anni, gli ha detto: Mauro, t'e tache al blisgoun (hai iniziato lo scivolone, il declino)!

La resdora

Sto leggendo un libro che racconta di don Benzi.
Don Benzi era romagnolo e nel libro vengono citate alcune frasi in dialetto. Questo mi ha evocato ricordi del periodo dell'università, periodo in cui ne ho conosciuti tanti, di romagnoli, e in maniera abbastanza approfondita (ho vissuto a Bologna in appartamento con loro e sono stata spesso ospite in Romagna, delle loro famiglie) .
Io i romagnoli li percepisco come una deformazione degli emiliani.
Molto simili a noi, ma un po' diversi.
Le parole ad esempio, sembrano storpiate. Es, noi diciamo "resdora", loro "arzdora".
Resdora significa reggitrice e si dice della padrona di casa. Oggi si riferisce in genere a colei che cucina e fa pulizie, ma credo che l'origine del termine sia nel fatto che una volta la casa era abitata da diversi nuclei familiari: il patriarca con i figli e le rispettive mogli.
Non tutte le donne adulte di casa erano resdore, ma solo quella che appunto reggeva (coordinava e comandava) tutto il funzionamento della baracca. Di solito era la moglie del capostipite.
La Minerva, ovviamente, ha iniziato a fare i lavori di casa a pochi anni. Faceva già la sfoglia quando per arrivare alla tavola doveva salire in piedi su uno sgabellino.
E ricorda ancora l'enorme imbarazzo di quando (lei aveva circa 8 anni), stava tirando la sfoglia per le tagliatelle, e un uomo entrò in casa per cercare i suoi genitori.
Vedendola impegnata in tale attività (appunto) culinaria, disse alla bambina che la sfoglia sarebbe venuta bene solo se alla operatrice fosse sceso un rivolo di sudore "sò (la "s" si pronuncia in questo caso come sonora come, ad esempio, la s di "musica"), per al canaluss d'al cul" (avrete capito che il sedere è uno degli argomenti più gettonati nel nostro dialetto).
Canaluss, italianizzato in "canaluzzo" è...non si capisce???

lunedì 27 ottobre 2008

Collegamenti concatenati

Lo so che sembra il titolo di un rompicapo della settimana enigmistica. Invece vuole essere l'espressione di tutti i ragionamenti che ho fatto rileggendo il post precedente dopo che la mia amica...
Primo collegamento: scrivo tutti questi pensieri perché il mio gemellino, che prima si sottoponeva paziente all'ascolto di tante cose che mi passavano per la testa, ora non può più farlo per motivi di distanza. Va be'.
Secondo: io ho inviato i miei post a tante persone (tra cui i miei fratelli) che secondo me potevano condividere questi ricordi e quindi entusiasmarsi e commentare, arricchire, condividere.
Tutti zitti, tranne la Pepi che mi ha fatto un commento privato.
Ieri mattina, però, a sorpresa, ho trovato un commento della mia amica Anto che, oltre ad essere una gran brava prof, è anche una affermata e ottima scrittrice.
Questo mi ha anzitutto commosso, poi lusingato perché, sapete, per me lei è un po' il modello di tutti noi laureati in lettere: è riuscita a scrivere un libro e a farselo pubblicare da Mondadori (in realtà ne ha scritti due ed è stata la Mondadori a cercarla!).
Lo so che lo desiderano molti anche non laureati, anche perché adesso va di moda e tutti credono di saper scrivere, ma per noi è come il sogno della giovinezza, il primo sogno, e quindi...
So anche che non era il caso che rivelassi di essere laureata in lettere visto come scrivo, ma credo che la mia enorme ignoranza di ritorno sia giustificata dal fatto che dopo la laurea per 11 anni ho lavorato come educatrice a portatori di handicap e solo da pochi anni ho ripreso contatto (lavorativamente parlando) con i libri e solo dal punto di vista commerciale.
A proposito di ignoranza di ritorno, mi viene in mente un aneddoto che mi ha divertito molto.
All'inizio della mia attività di libraia, circa tre anni fa, si presentò sulla soglia della mia libreria (che è una libreria di settore, dove non si trovano principalmente letteratura e narrativa, ma soprattutto saggi) un importante avvocato, famoso e molto colto.
Rimanendo sulla soglia, si presentò e mi chiese tuonando se tenessimo qualche lirico.
Io risposi: sì, qualcosa, ad esempio Dante.
Lui, guardandomi come si guarda un insetto spregevole ribatté: non mi riferisco alla lirica come poesia in generale ma come stile.
Nella nebbia che avvolge le mie memorie scolastiche si accese una scritta luminosa: hai fatto una enorme gaffe (e soprattutto hai fatto la figura dell'ignorante!).
Dopo che l'avvocato se ne fu andato pieno di disgusto, mi rivolsi all'oracolo Google e gli chiesi: ricordami, caro, che cos'è 'sto benedetto stile lirico.
Google rispose, puntuale. E confermò la mia gaffe.

Chiudiamo anche questo anello della catena di pensieri ed andiamo velocemente al punto.
Il punto è che il commento della prof mi ha portato a rileggere l'ultimo mio post, beandomi del fatto che anche lei l'avesse letto ed apprezzato.
Allora mi è sovvenuto un altro modo di dire molto espressivo, tipico della mia famiglia: ross!
Dicevamo dell'espressione: du sold ed più, mo ross.
Ironicamente dire "ross!" significa al contrario: no!, mai! scordatelo! non ci pensare proprio!
La frase completa sarebbe: ross, ch'a t'al comper! (Proprio non te lo compro!)