domenica 5 ottobre 2008

Storie di gioventù

Oggi sono stata a pranzo dalla Minerva che è poi mia nonna.Ho detto di questo blog e ci siamo divertite parecchio io, mia madre e la Minerva, a ricordare espressioni del gergo familiare.
Ho portato a casa un discreto bottino di parole, tutte appuntate nel mio quadernetto.Ma soprattutto ho portato a casa questa storia che la Minerva mi aveva già raccontato, ma che mi commuove sempre.
Dopo l'8 settembre 43 Loris, fratello di mia nonna, ha 13 anni e si arruola con i fascisti.Viene portato a Brescia insieme ad altri ragazzini.Dopo qualche tempo una signora va a casa di mia nonna e dice a sua madre (la mia bisnonna Erminia) che ha intenzione di partire ed andare a riprendere suo figlio, che, come Loris, si è arruolato come volontario pur essendo ancora un bambino.L'Erminia, mia bisnonna vorrebbe tanto partire anche lei per riprendersi il figlio, ma non può. Infatti il marito è emigrato in Germania e a casa ci sono altri bimbi che non possono essere abbandonati.
Allora la Minerva disse: ag vag me! (ci vado io).
La Minerva aveva 15 anni.
La mattina dopo, era probabilmente novembre o dicembre, alle 5 la Minerva partì così attrezzata: bicicletta, cappotto buono coi polsi di pelo e sandali eleganti della sorella (era tutto ciò di cui poteva disporre).
Da Carpi , sempre col rischio di prendersi una pallottola perché c'era il coprifuoco, raggiunse Ponte Motta, dove abitava la signora che il giorno prima aveva espresso l'intenzione di andare a prendere il figlio.Qui scoprì che l'avrebbe accompagnata non la madre , ma un fratello del ragazzo da recuperare, di nome Giuseppe.
La Minerva e Giuseppe (che portava uno zaino) partirono in bicicletta e raggiunsero il paese di San Giacomo Roncole, alle porte di Mirandola.Lì Giuseppe (che era più vecchio di lei ed era un insegnante di scuola elementare) disse alla nonna di tenere gli occhi bassi.Chi conosce la Minerva sa che questo era un invito ad alzare gli occhi.E così la Minerva vide dei ragazzi che erano stati impiccati ai pali della luce dai tedeschi (questa cosa, raccontata anche da Lo Petrone nel libro su don Zeno Saltini, mi ricorda sempre la poesia di Quasimodo "Alle fronde dei salici").
Arrivati a un'osteria, si fermarono a depositare le biciclette e a bere un bicchier d'acqua.Giuseppe sparì e tornò dopo poco vestito da fascista.Fecero il resto del viaggio in autostop.
Prima salirono su un carro che trasportava balle di fieno (e la Minerva ricorda che per issarla in cima alle balle le misero una mano sotto al sedere) e si addormentarono, stremati. Ma si svegliarono al pasaggio di Pippo (l'aereo americano , o inglese, che bombardava la zona e a cui era stato dato questo nomignolo). Si buttarono in un fosso e aspettarono che il bombardamento finisse.
Arrivati al Po scesero e si fecero caricare da un camion di tedeschi che fecero salire Giuseppe dietro e invitarono mia nonna in cabina con loro.Giuseppe disse che, siccome lui e la Minerva erano marito e moglie, sarebbero rimasti insieme. Era notte.La mattina furono scaricati e proseguirono a piedi.
In una corte diedero loro latte appena munto e pane.Poi proseguirono. I sandaletti eleganti della Minerva erano sfasciati: quanti chilometri avrà camminato?Arrivarono nel campo dove si trovavano le reclute: una folla di ragazzini sporchi e irriconoscibili vagava attorno a pentoloni in cui venivano immerse le loro divise infestate dai pidocchi.Giuseppe chiese a un militare che sorvegliava il campo di far uscire per una passeggiata suo fratello e Loris, dicendo che, essendosi trovati lì per caso lui e la Minerva, volevano salutarli e passare un po' di tempo con loro.Loris e l'altro arrivarono. Erano avvolti in divise enormi per loro, i pantaloni tenuti su da una corda.
La Minerva e Giuseppe ripresero a ritroso il loro cammino portando con sè i due fratellini disertori e, affrontando e superando di nuovo le fatiche e i pericoli (aumentati) dell'andata, tornarono a casa.
Questa è la Minerva.

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